John Fante, il narratore più “maledetto” d’America secondo Bukowski, uno scrittore del calibro di Steinbeck o Faulkner, nasceva nel 1909 in Colorado, figlio di emigrati italiani di Torricella Peligna. Da quattordici anni, il piccolo centro abruzzese celebra l’autore italo-americano con il festival “Il dio di mio padre”. Per sapere qualcosa di più dell’edizione che apre le sue porte oggi, abbiamo intervistato la direttrice artistica Giovanna Di Lello.
Quando: dal 22 al 25 agosto 2019
Dove: a Torricella Peligna (CH)
QUI il programma ufficiale
Giovanna, vorresti presentarci l’edizione 2019 del festival?
Questa edizione del John Fante festival inizia, purtroppo, con la morte di Francesco Durante, uno dei traduttori di Fante e dei massimi divulgatori della sua opera. Durante era per me un punto di riferimento, un intellettuale di grandissimo livello, sempre presente al festival sin dalla sua prima edizione. Per questo, quest’anno il Festival sarà dedicato a lui.
L’edizione di quest’anno è speciale: celebreremo gli ottant’anni dalla pubblicazione di Chiedi alla polvere (1939), il romanzo considerato il capolavoro di Fante.
Ci saranno quindi nella programmazione diversi momenti dedicati al romanzo che fece innamorare Charles Bukowski, tra i quali l’intervento di Sandro Veronesi che ne farà un encomio e che sarà premiato per la sua carriera.
E poi sarà un’edizione in cui si parlerà di migranti. La migrazione è uno dei temi presenti negli scritti di Fante e da qualche anno anche nella programmazione del festival.
Si tratterà anche di un’edizione al femminile, poiché per la prima volta ci sarà una sezione dedicata interamente a Joyce Smart Fante, la moglie dello scrittore.
Come ogni anno, infine, troveremo il Premio Letterario John Fante Opera Prima, perché serve sempre aiutare gli scrittori esordienti.
Quest’anno il festival festeggia i suoi quattordici anni, potremmo dire in crescendo, perché la sua storia e la sua programmazione sono diventate con gli anni sempre più ricche.
Il festival è organizzato dal comune di Torricella Peligna, e abbiamo sempre avuto la fortuna di avere a che fare con amministrazioni che hanno creduto in questa manifestazione.
Bisogna dire poi che si tratta di John Fante, che ben prima degli inizi del festival era già uno scrittore di culto. Sin dall’inizio ho quindi voluto puntare in alto, raccogliendo la scommessa di creare qualcosa che avesse un’eco a livello nazionale.
Non potevo e non mi interessava riproporre un premio, ne esistono già tanti in Italia, si doveva proporre qualcosa di più strutturato, declinabile su più anni e che ci desse la possibilità di parlare dello scrittore Fante ma anche dei temi che lui ha trattato nella sua opera.
John Fante ha la grande capacità di parlare di oggi, di affrontare temi importanti per la nostra attualità.
Era importante riuscire quindi a declinare e ad esplorare questi temi su più anni in modo strutturato.
A proposito di temi sociali presenti nell’opera di Fante, quest’anno cominciate con un incontro che mi sembra molto impegnato, Italia 2019. Pietà l’è morta? con Gad Lerner sul tema della migrazione. Perché la scelta di uscire da un contesto esclusivamente letterario?
L’opera di Fante è certamente l’opera di un autore raffinato e per certi versi geniale. Ma leggendolo, è anche possibile rintracciare schegge della sua biografia in quanto figlio di immigrati e noi lettori possiamo trarre un insegnamento dalla sua testimonianza, dal suo malessere, dall’odio-amore per la sua cultura di provenienza, dalla sua difficoltà a inserirsi nella società.
Pur non essendo Fante un autore “sociale”, questi sono temi che esistono nella sua opera e ci parlano; non si tratta solo di un’opera letteraria stilisticamente eccezionale, ma dell’opera di uno scrittore che aveva proprio tanto da raccontare.
Bukowski diceva che l’opera di Fante era scritta “con le viscere e per le viscere, con il cuore e per il cuore”. Questa materia viva da lui raccontata ci fa riflettere ancora oggi. Deve farci riflettere.
Pensiamo alla condizione di un figlio di immigrati oggi in Italia: quale tempesta emotiva deve attraversare? Pensiamo all’umiliazione, al sentirsi fisicamente diverso, al suo orgoglio… Per l’immigrato in sé, non dico che sia semplice, ma è più semplice rispetto a quanto lo sia per un figlio che subisce la sua scelta.
L’opera di Fante non è un’opera sociale, ma crea certo una riflessione intima nel lettore e io, in quanto direttrice artistica, cerco di utilizzare questa riflessione per creare un festival che sia coerente ed interessante. Da qui la creazione di quelli che nel festival abbiamo chiamato “percorsi migranti”, che Gad Lerner inaugurerà in apertura del festival.
Un altro degli incontri più importanti del festival sarà quello con Yvan Attal, regista francese di Mon chien stupide, tratto dall’omonimo racconto fantiano. È un altro segnale di quanto Fante abbia ancora da dire anche a livello artistico.
Fante è un autore che più degli altri della sua generazione riesce a parlare al lettore di oggi. Parla di sentimenti, emozioni, è diretto e senza filtri e piace per il suo modo di raccontare.
Quando in Francia fu pubblicato Il mio cane stupido, fu da subito un romanzo di culto. A tal punto che, nonostante in America e in Italia si trattasse di un racconto inserito nella raccolta A ovest di Roma (1986), in Francia venne pubblicato indipendentemente.
Il film di Yvan Attal avrà a Torricella Peligna un’anteprima nazionale in presenza del regista e di due produttori.
Per noi è davvero una grande opportunità.
Per il regista, visitare Torricella Peligna dev’essere anche un’opportunità per conoscere meglio questo scrittore.
Si, perché il lato italiano di John Fante incuriosisce ancora oggi. Fante è un autore al 100% americano, nato e cresciuto a Denver, formatosi negli Stati Uniti, però questo suo lato di scrittore maledetto che tanto affascina gli viene proprio dalla condizione in bilico propria delle seconde generazioni.
Ci raccontavi che per la prima volta quest’anno ci sarà una sezione intera dedicata a Joyce Fante, la moglie dello scrittore. Come mai questa scelta?
Fante è innegabilmente un autore molto maschile. Arturo Bandini è una presenza quasi “macho” nei suoi romanzi, però il rapporto di John Fante con il femminile è un tema molto importante.
Innanzitutto per la presenza di questa donna, Joyce, sua moglie:
una grandissima intellettuale, una delle prime donne laureate alla Stanford University, una poetessa, che ha sempre creduto nel talento del marito.
È stata lei a trascrivere il suo ultimo romanzo, Sogni di Bunker Hill (1982), e alla morte di John Fante ha cercato di divulgare il più possibile la sua opera.
Se passiamo poi in rassegna le donne presenti nell’opera dell’autore, è impossibile non pensare a Camilla Lopez, lo straordinario personaggio di Chiedi alla polvere. Ora, nonostante la diversità tra l’autore e il protagonista del romanzo, questo è un libro che Fante dedicò a Joyce. Da qui anche l’idea di creare questa sezione dedicata a lei.
Un altro aspetto del festival è l’attenzione alla letteratura regionale. Come pensi che sia cambiata in questi ultimi anni?
Il festival porta un’attenzione agli autori abruzzesi perché sono autori secondo me di grande livello. Uno di questi è Alessio Romano (Una stanza tutta per loro: cinquantuno donne della letteratura italiana, Avagliano editore 2018) che sarà presente al festival, uno scrittore giovane ma che è cresciuto tantissimo in questi ultimi anni e che può competere tranquillamente a livello nazionale.
Bisogna poi sottolineare come l’Abruzzo abbia visto fiorire tantissime scrittrici. Quest’anno ospiteremo Maura Chiulli (Nel nostro fuoco, Hacca editore 2018), un’autrice originale e molto apprezzata. Dobbiamo poi nominare Donatella Di Pietrantonio, una scrittrice che davvero ci invidiano in tanti. Penso ancora a Peppe Millanta (Vinpeel degli orizzonti, NEO edizioni 2018), che ha vinto il premio John Fante Opera Prima l’anno scorso e che sarà presente quest’anno per presentare Simona Baldelli (Vicolo dell’immaginario, Sellerio 2019) e per la passeggiata fantiana insieme ad Antonio Piccoli.
Secondo me l’Abruzzo deve continuare a valorizzare i propri autori, ma in un modo che susciti interesse a livello nazionale ed eviti di essere autoreferenziale, perché abbiamo autori che meritano questo interessamento.
Sono tutti autori di grande spessore che danno lustro alla nostra regione, una regione che deve credere un po’ di più a ciò che fa, riconoscere di più quello che si fa e valorizzare l’autenticità delle cose.
Francesca
Lanciano, Agosto 2019
Foto ©John Fante Festival, ad eccezione della foto con la scritta “John Fante Fest” che ritrae ©Francesca; La foto col Manifesto del 2015 e quella con “The big Hunnger” che sono di ©Chiara.
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