Il John Fante Festival ci piace proprio tanto. Per questo, abbiamo voluto conoscere un po’ meglio la persona che si nasconde dietro le quinte di un evento che, da Torricella Peligna, ha assunto un rilievo internazionale. Vi presentiamo Giovanna Di Lello, un’abruzzese “atipica” ma fino a un certo punto, la direttrice artistica del festival “Il dio di mio padre” dedicato a John Fante.
Il 9 luglio, è uscito nelle librerie il volume DALLA PARTE DI JOHN FANTE. SCRITTI E TESTIMONIANZE, a cura di Giovanna Di Lello e Toni Ricciardi, Carocci editore, Roma, 2020.
L’edizione 2020 del festival John Fante. Il dio di mio padre avrà luogo a Torricella Peligna dal 23 al 25 agosto.
Giovanna, ti andrebbe di cominciare questa conversazione presentandoti in quanto abruzzese?
Comincio col dire che sono un’abruzzese atipica. Sono nata all’estero e sono cresciuta all’estero, figlia di genitori di Colledimezzo (CH) emigrati prima in Canada ad Hamilton, dove sono nata, e poi in Svizzera, dove ho trascorso la mia adolescenza.
Un’abruzzese atipica ma fino ad un certo punto, perché sappiamo che la storia dell’Abruzzo – e John Fante ne è un esempio – è anche una storia di emigrazione. Essere nata ed essere cresciuta altrove mi distingue in qualche modo da chi ha sempre vissuto qui, ma mi accomuna anche a tanti altri abruzzesi con i quali condivido questa storia.
Quando e perché hai deciso di tornare in Italia?
Ho deciso di tornare in Italia perché sentivo forte questo richiamo delle origini, ne ero incuriosita. A diciotto anni mi sono stabilita qui e ho costruito la mia famiglia. Però ecco, pur vivendo in Abruzzo, a Pescara, ho sempre avuto il bisogno di mantenere uno sguardo fuori dai confini del mio Paese. Sento di appartenere non solo a questa regione o all’Italia in generale ma, anche se sembra una frase fatta,
mi sento una cittadina del mondo: sento che le mie radici sono ovunque io abbia vissuto e ovunque io abbia dei bei ricordi.
Immagino che il tuo interesse e poi il tuo lavoro per John Fante derivino anche dalle tue origini e dalle tue esperienze.
Assolutamente si. Quando ho letto per la prima volta John Fante, avevo in comune con lui l’appartenenza ad una “seconda generazione” di migranti e mi sembrava che avesse raccontato meglio di chiunque altro ciò che il figlio di un migrante può pensare e provare.
John Fante è uno scrittore senza retorica, nella sua storia non c’è mai il romanticismo dell’emigrante con la valigia di cartone, non ti compiace. Dice davvero ciò che chiunque abbia vissuto all’estero, figlio di migranti, sente.
Io fui scioccata dalla corrispondenza tra i miei sentimenti e quello che lui scriveva.
Poi in John Fante c’è tanto altro, certo, però il mio interesse nasce dalla corrispondenza di una storia comune.
Qual è il primo libro che hai letto di John Fante?
Per un puro caso, mia nonna Dorina Fante aveva lo stesso cognome dello scrittore. Questa vicinanza casuale mi ha fatto avvicinare per la prima volta ai suoi libri.
Il primo libro che ho letto è stato 1933. Un anno terribile (1985), e poi, innamorata, ne ho letto tutta l’opera. Dago Red (1940) mi è piaciuto tantissimo, perché lì appariva davvero la famiglia italo-americana.
Leggendolo ritrovavo quello che io sentivo, nonostante i suoi libri fossero stati scritti decenni prima: in quei racconti analizzavo anche la mia storia.
Poi ovviamente con il tempo ho scoperto un autore molto più complesso, Chiedi alla polvere è tutta un’altra cosa.
E poi? Qual è stato il passaggio dal puro interesse di lettrice alla creazione di un festival dedicato a lui?
Nel 2003 ho girato un documentario biografico su John Fante, John Fante. Profilo di scrittore, che credo sia ancora l’unico girato con una produzione italiana, pubblicato anche in libreria con la Fazi editore.
Si trattava di una produzione molto piccola, abruzzese, gestita da una cooperativa. Fu girato in parte a Torricella Peligna e in parte a Denver in Colorado, intervistando tutta la famiglia di Fante e poi anche Francesco Durante. Dal momento che una parte del documentario fu girata proprio qui a Torricella, il sindaco mi chiese di pensare ad un omaggio a Fante. Nel paese c’è sempre stato un interesse per lo scrittore, già all’epoca si organizzava qualcosa, dopo la sua riscoperta negli anni ’90.
Il sindaco mi chiese di pensare a qualcosa di più strutturato ed io proposi di creare il festival così come lo vediamo adesso, di stampo anglosassone.
Qual è stato il tuo percorso di studi e professionale?
Sono laureata in lingue e letterature straniere, però ho sempre avuto un grande interesse per il cinema, sin dall’università. Ho frequentato i corsi di Storia del cinema, sono stata curatrice della materia di Storia e critica del cinema qui all’università di Pescara e in quell’ambito ho creato insieme ad altri amici la cooperativa con la quale abbiamo girato il documentario su John Fante.
Sempre nell’ambito universitario, ho cominciato insieme ad altri ad organizzare rassegne cinematografiche e letterarie, quindi anche ad avere esperienze nell’organizzazione di eventi. Tutto è nato all’università. E da lì poi mi sono creata questa professione, quella di direttrice artistica.
Che cosa comporta questo ruolo?
Il mestiere di direttore artistico rimane ancora poco riconosciuto sul nostro territorio rispetto all’impegno e alla fatica che richiede. È un lavoro di squadra che andrebbe più rispettato e meglio riconosciuto per le sue responsabilità e creatività. Non è un mestiere che si improvvisa. Quando ho intrapreso questo percorso, ai miei studi universitari precedenti ho aggiunto un master in economia della cultura all’Università di Tor vergata.
C’è da dire che senza una squadra entusiasta che ti sostiene e ti capisce non si va da nessuna parte.
E poi la collaborazione con gli altri e con gli enti pubblici è fondamentale, bisogna capire in quale territorio ci si trova e come valorizzarlo al meglio, e soprattutto non personalizzare troppo il proprio lavoro. Tutto quello che faccio non esisterebbe e non avrebbe questo successo se non fosse per la squadra che lavora con me.
Finiamo con le tre domande di rito di Abruzzo.no
Qual è il tuo piatto abruzzese preferito?
Le pallotte cac’e ove.
Qual è il tuo luogo preferito in Abruzzo?
La zona del Sangro Aventino che include anche Torricella Peligna e Colledimezzo.
Infine, il tuo proverbio o modo di dire preferito?
Un modo di dire che secondo me rispecchia il nostro modo di essere qui in Abruzzo. Siamo persone pazienti, ma non per questo lasciamo che le persone ne approfittino: scine ca scine, ma ca scine ‘ndutt no!
Francesca
Toulouse, Luglio 2020
Foto ©Giovanna Di Lello
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