Da qualche tempo seguiamo con interesse le creazioni e le iniziative di Valeria Belli e del suo FiliForme, laboratorio/studio di tessitura a mano. Ci sembrano sempre così interessanti, cariche di tradizioni e significato… Siamo felici di presentare questa intervista dove Valeria ci racconta com’è nata la sua passione per il telaio e per la tessitura, e come questa si intreccia (mai parola fu più calzante) con l’Abruzzo.
Partiamo dalla fine. Cos’è FiliForme?
E’ un laboratorio di tessitura a mano che ho fondato nel 1999. Trae origine da un sogno lontano nel tempo, di quando ero ragazzina, ma che ho potuto realizzare solo in seguito.
Mi mi occupo quasi esclusivamente di tessuti e manufatti per l’arredamento, molti sono attinenti alle nostre tradizioni ma in realtà amo molto sperimentare, anche materiali insoliti (ad esempio anni fa ho usato anche il rame, per una linea di accessori nella quale ho creato i tessuti), oppure stravolgere le tecniche di tessitura, insomma progettare creativamente i miei tessuti. In linea generale i manufatti che preferisco realizzare sono, con la lana (preferibilmente locale), tappeti, tessuti decorativi da parete, coperte e plaid; con le fibre vegetali (lino e canapa) tovagliati e tele per la casa. Ma cominciano a piacermi anche le sciarpe…
Per le lane in tintura naturale in passato mi sono sempre appoggiata a professionisti di questo settore, ma da un po’ ho iniziato a mettere a frutto un corso di tintura fatto molti anni fa perchè in me è maturata l’esigenza di creare colori personali, magari anche sbagliando o modificando le ricette standard, e soprattutto che possano provenire da piante spontanee del territorio che mi circonda (ortica, equiseto, iperico, elicriso, carciofi dell’orto, mallo di noce, per citarne alcuni). Questo mi dà soddisfazione non solo da un punto di vista estetico ma anche da un punto di vista salutistico, faccio un mestiere che mi costringe a stare seduta molte ore e andare per piante compensa la mia voglia di stare all’aperto, di camminare e di ammirare i paesaggi (sono di natura fortemente contemplativa).
Mi piacciono le nostre tradizioni, non solo tessili, che amo cercare e interiorizzare, studiare e elaborare, lo faccio sin dagli inizi della mia attività.
Mi piace molto anche insegnare, attivo corsi di tessitura da sempre e ho letteralmente sfornato decine di nuove tessitrici, in Abruzzo e altrove.
Per un lasso di tempo ho amato anche fare i mercatini, dove proponevo un mini laboratorio di tessitura per bambini, in forma di arte di strada, molto libera e divertente, dove i piccoli partecipanti sostavano il tempo che volevano, si divertivano e nello stesso tempo imparavano, attraverso la tessitura e sotto la mia guida, cose a mio parere importantissime: il valore della creatività, il piacere della manipolazione della materia, il rispetto delle regole imposte dall’attrezzo telaio, la scoperta della propria autonomia. E’ stato un periodo molto interessante, faticoso ma divertente e ho conosciuto tante persone girovagando in diverse regioni italiane.
Com’è nata questa idea? Qual’è stato il tuo percorso per diventare tessitrice?
Sin da ragazzina sognavo di avere un laboratorio di tessitura. La mia prima formazione è avvenuta all’Istituto d’Arte di Chieti, dove mi sono diplomata in “Arte del Tessuto”. Appena dopo il diploma misi il mio sogno in un cassetto, nella convinzione che fosse irrealizzabile. E così decisi di iscrivermi alla facoltà di Lettere di Chieti dove mi sono laureata in Storia dell’Arte Bizantina, frequentando un indirizzo di studi quasi tutto basato sul Medioevo storico, letterario e artistico. Oltre che affascinante questo percorso è stato molto utile quando, contestualmente all’apertura del laboratorio, iniziai le mie ricerche tessili in Abruzzo, avevo acquisito importanti strumenti di indagine e conoscenza, un bagaglio di grande supporto e una buona apertura mentale.
Con le ricerche nell’entroterra abruzzese ho poi completato la mia formazione. Se infatti dalla scuola appresi le tecniche di base e il metodo progettuale e creativo, dei tessuti uniti e di quelli operati, dell’arazzo e del tappeto, fino alla stampa dei tessuti, e fondamentalmente scevro da ogni tipo di schematizzazione e imposizione, dalle anziane ho invece appreso un sapere secolare tramandato, quasi sempre oralmente, fatto di criteri organizzativi ed impianti estetici tipici del mondo popolare e della cultura materiale contadina che, al contrario, imponevano tipologie e tecniche a seconda delle destinazioni d’uso dei tessuti e dei manufatti.
Molto mi hanno dato anche i corsi di due grandi insegnanti di tessitura in Italia: Graziella Guidotti (FI) e Paola Besana (MI) che ho frequentato poco prima dell’apertura del laboratorio e che mi hanno consentito di approfondire le basi scolastiche. Infine ho frequentato un corso di tintura naturale fatto con Rosella Cilano dell’ Associazione Elda Maria Salice (MI) a Barisciano (AQ) nel 2002.
Che particolarità’ hanno le tessiture abruzzesi, da cosa si riconoscono?
Bella domanda! Diciamo che ad oggi non esiste ancora uno studio specifico e onnicomprensivo su questo argomento e l’Abruzzo, regione a grande vocazione pastorale, ma non solo, è pieno di tradizioni tessili in parte ancora sconosciute, soprattutto al grande pubblico.
Sulla base della mia esperienza personale posso dire che, per quello che riguarda i tessuti paesani che si tessevano in casa, che sono quelli che mi attraggono di più, esistono linguaggi tessili comuni a tutto il territorio e che a loro volta sono riconducibili ad un bagaglio tecnico ed estetico tipico del mondo popolare non solo abruzzese, ma italiano ed europeo. Penso ai tessuti di lino e canapa per la biancheria di casa e per i lavori agricoli, oppure alle coperte, in lana e/o cotone, caratterizzate prevalentemente da disegni geometrici di media e grande dimensione e colori vivaci, fatte con diverse tecniche e dal sapore decisamente rustico.
Questo ad esempio, è stato il bacino da cui ho attinto per realizzare le coperte per Sextantio, l’albergo diffuso a Santo Stefano di Sessanio. L’ultima l’ho realizzata la scorsa estate. Ci sono poi tessuti rustici tipici di zone più circoscritte, ad esempio quelli delle zone montane, in lana e più pesanti, anche loro spesso con colori accesi. Ci sono infine delle tipicità che riguardano borghi ben precisi: ad esempio i magnifici tappeti di Pescocostanzo realizzati, questa volta, non da ragazze da marito ma da esperte tessitrici e riccamente decorati secondo uno stile che li distingue effettivamente come abruzzesi.
E poi non possiamo non citare le coperte Merlino di Taranta Peligna, anche se realizzate con un tipo particolare di telaio (il telaio jacquard) e secondo una logica di tipo imprenditoriale/industriale. Ma pur sempre una grande tradizione, che ha accomunato diversi centri della Majella, storicamente vocata alla lavorazione della lana anche per la presenza di numerosi corsi d’acqua. Queste coperte le conoscono tutti, e sono entrate così fortemente nell’immaginario collettivo al punto che si possono sicuramente dire “abruzzesi”.
C’è molta tradizione in quello che fai. Dove trovi ispirazione, conoscenza, sapere…?
L’incontro con le tradizioni tessili abruzzesi per me non è stato romanticamente accidentale ma qualcosa su cui, sin dagli inizi della mia attività, mi sono posta delle domande. Allora non sapevo nulla di questo ambito e conoscevo veramente poco della nostra regione. Dopo la laurea, infatti, trascorsi cinque anni a Roma, finché non decisi di tornare e di abbracciare il mio sogno.
Immediatamente ho sentito la spinta di cercare, una sorta di sesto senso oppure semplicemente il bisogno di rintracciare le mie radici, la mia identità socioculturale.
Il punto di partenza è stato il Museo delle Genti d’Abruzzo a Pescara e quello, attualmente chiuso di Picciano, ai quali devo molto per la possibilità che mi diedero di studiarne i tessuti delle rispettive collezioni.
Contemporaneamente andai dritta a Carpineto della Nora dove sapevo che c’erano delle anziane che ancora tessevano, le ho cercate, le ho trovate e…mi si è aperto il mondo!
Mi hanno accolta come una figlia e mi hanno insegnato a usare il telaio tradizionale abruzzese, quello che le donne di un tempo avevano in casa e con il quale tessevano il corredo e tutto l’occorrente per la casa e il lavoro nei campi.
E’ stato un periodo bellissimo della mia vita, che non dimenticherò mai. Quelle mattine di maggio ai piedi del Gran Sasso ad apprendere i segreti di una pratica secolare, tramandata di generazione in generazione…imparare tecniche e disegni antichi, ascoltare i loro racconti di quando, ragazze, faticavano nei campi e a questo dovevano aggiungere il lavoro al telaio, per necessità e non per diletto o per lavoro.
Tuttavia loro due non seguirono il destino di tante altre donne che alla fine, con l’avvento delle fibre sintetiche, il telaio lo bruciarono, no, loro continuarono con passione a tessere e a produrre meravigliose tovaglie di lino lavorate con una tecnica di tessitura particolare, tipica del nostro territorio e conosciuta come “sfilato abruzzese” o anche come “la tela raccolta” che produce sul tessuto fondi traforati su cui si stagliano fantasiosi disegni a campo pieno.
Nel corso del tempo, però, ho avuto anche molte altre anziane-insegnanti-amiche in Abruzzo, spaziando dalle colline dall’area vestina pescarese, a quelle chietine (chi può dimenticare Leonella di Bucchianico?) e alle zone pedemontane della Majella, dalle quali ho imparato altre tecniche e disegni. I miei telai antichi, che risalgono alla fine del ‘700 e alla metà dell’ ‘800 vengono, rispettivamente, dalla zona di San Valentino e da Caramanico: il primo l’ho avuto con un baratto, l’altro mi è stato donato.
Quindi sì, nel mio lavoro c’è tanta tradizione, quel cercare le mie origini ha rinsaldato molto il mio rapporto con questa regione, non solo da un punto di vista strettamente legato alla tessitura, me l’ha fatta scoprire a 360°.
Le mie ricerche mi hanno fatto conoscere luoghi, paesaggi, storia e cultura e mi hanno fatto avere anche un contatto più diretto con altre forme di artigianato. Per esempio il lavoro degli scalpellini della Majella, un’arte splendida che, dal Medioevo in poi, caratterizza intensamente i nostri borghi e le nostra antiche chiese ed esercitano su di me un fascino incredibile al punto da aver ispirato quello che io credo essere il manufatto che più rappresenta l’essenza del mio lavoro: “Scolpire la lana”. Si tratta di un tessuto decorativo da parete realizzato interamente con lana di pecora bianca e con una tecnica di tessitura anticamente moto usata in Abruzzo per tovaglie e coperte, “lu doppie panne”.
Su queste due grandi tradizioni ho innestato il mio essere calata nel mio tempo, forzando la tecnica per i miei scopi compositivi fino ad arrivare ad un tessuto tridimensionale, con bombature che ricordano appunto la pietra bianca e levigata della Majella.
Mentre la lana di pecora, reperita in Abruzzo, è riconducibile alla nostra cultura pastorale. Sono orgogliosa di questo lavoro perché ha partecipato e vinto il concorso biennale indetto dall’Ente Mostra dell Artigianato Artistico di Guardiagrele nell’anno 2016, e poi perchè una sua copia – quasi fedele – è stata poi donata a papa Francesco, anzi, ho avuto il privilegio di portargliela di persona in udienza, un’esperienza unica.
Il tema di quel concorso era quello giubilare della Misericordia e l’uso della lana di pecora si ricollegava ad un passo evangelico, quello del Cristo Pastore, mentre l’impianto compositivo era permeato di significati simbolici legati alla cristianità. L’originale si conserva presso il museo permanente dell’Ente Mostra di Guardiagrele, visitabile tutto l’anno. [Se pensate di andare a Guardiagrele leggete anche il nostro articolo sui 3 motivi per visitare Guardiagrele].
Cosa vorresti che tutti sapessero della tessitura, del telaio, di questa bellissima arte?
Che la tessitura è, tra le attività dell’essere umano, quella che preferisco perchè è magica, meditativa, difficile e nello stesso tempo alla portata di tutti. E’ come imparare una lingua e con essa chiunque può scrivere, esprimersi e rimanere unico. Non a caso, poi, è spesso usata come metafora per indicare tante cose: la trama di un libro, l’intreccio di rapporti, l’ordire un progetto…
Il telaio…un attrezzo incredibile, una tecnologia semplice, primordiale di per sé, ma perfetta e, se vuole, complicatissima.
Il telaio e la tessitura: matematica e arte allo stato puro, ritmi e geometrie, equilibri, armonie e meditazione, cromatismi, ruralità e raffinatezza. Come la musica.
Dove e come ti troviamo?
Durante il periodo invernale sono stabile a Brecciarola di Chieti, il mio quartier generale e dove faccio anche i corsi di tessitura. Da maggio a ottobre invece mi trasferisco non lontano da casa ma comunque in un luogo che sembra l’altrove: sulla Majella, più precisamente a Decontra di Caramanico, il borgo di pietra.
Lì è il mio ritiro spirituale, non a caso sono circondata dagli eremi, dal silenzio e dalla bellezza della natura e lavoro con l’antico telaio di Caramanico.
Nell’impossibilità di raggiungermi si può conoscere il mio lavoro attraverso la mia pagina Facebook FiliForme di Valeria Belli laboratorio/studio di tessitura a mano, ora anche su instagram.
Cosa consiglieresti a chi volesse intraprendere un percorso come il tuo?
Anche se è difficile, soprattutto oggi, consiglio di credere nei propri sogni, di impegnarsi tanto e di vivere la propria passione fino in fondo. In qualche modo i risultati arrivano. E soprattutto di non aver paura di mantenersi integri, perchè a lungo andare, insieme alla propria passione, è un cosa che ripaga sempre, il tesoro più grande.
Infine le nostre domande di rito:
Luogo preferito: no, non vale….l’Abruzzo mi piace tutto, il mare, la montagna, le colline…ma se proprio devo scegliere è sicuramente il luogo dove ho scelto di stare durante l’estate [Decontra di Caramanico].
Piatto preferito: pizz e foje (ricetta che amava anche mia nonna Tranquilla)
Proverbio preferito: “Vàle cchiù ‘n àcque fra Màgg’ e Aprile, che nu càrre d’òre nghe ttutte chi le tire”. Sottolinea quanto possa far bene la pioggia di primavera al raccolto, prima che arrivi il gran caldo estivo, addirittura più di un carro d’oro insieme a tutti i cavalli che lo tirano. Questo proverbio mi piace perché mi rimanda in pieno alla cultura contadina che tanto mi ha dato in questi anni di tessitura.
Grazie Valeria per aver condiviso con noi la tua storia, la tua passione, le tue bellissime foto e parte delle tue conoscenze. Verremo di sicuro a trovarti a Brecciarola di Chieti o a Decontra di Caramanico, di certo continueremo a seguirti sui socials.
Venusia
Strasburgo, Luglio 2020
Foto ©Valeria Belli
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