Ortaggi, vino e tartufi. Tutti i prodotti dell’orto di Lorenzo Genovesi, fondatore dell’azienda agricola Don Carlo e presidente dell’associazione “Mercato Scoperto”, provengono da un progetto di produzione biologica e biodinamica, creata ad arte nel rispetto della terra e dei consumatori.
Conoscevamo Lorenzo e il suo sogno da sempre, ma oggi abbiamo capito con quanta naturalezza un sogno possa diventare realtà, se si hanno la passione e la determinazione necessarie.
Dove? I prodotti dell’azienda Don Carlo sono in vendita nel Mercato Scoperto o in consegna a domicilio (teLOpORTO).
Quando? Il mercato è aperto tutti i sabato mattina.
Lorenzo Genovesi, fai parte di quei giovani abruzzesi che si sono allontanati dalla loro terra per studiare, ma che poi hanno scelto di tornare. Vuoi raccontarci la tua storia?
Fin da bambino ho avuto due passioni. La prima era la cucina: ho sempre voluto fare il cuoco, ma poi ho capito quanti sacrifici una vita del genere avrebbe richiesto. L’altra passione era l’agricoltura: in terza elementare avevo un orto dietro casa, che innaffiavo quando tornavo da scuola.
Da grande mi sono spostato “su” per fare la triennale in scienze gastronomiche, un’università che approccia la gastronomia da punti di vista diversi, dalla chimica degli alimenti al marketing delle aziende, fino all’educazione alimentare.
Poi mi sono spostato a Pisa e ho fatto una specialistica in agricoltura biologica. A quel punto avevo già l’idea di aprire un’azienda agricola. Sei mesi prima di laurearmi mio zio mi ha detto che c’era questa terra di famiglia, appartenuta a mio nonno e abbandonata lì da quarant’anni.
Quando sono andato a vederla, anche se si trova lassù (a Montazzoli, ndr), me ne sono innamorato. Non ci sono vicini, non ci sono contaminazioni. Per fare agricoltura naturale sarebbe stata perfetta.
Somiglianze e differenze tra l’orto di quando eri piccolo e quello di Montazzoli?
Quello che avevo a casa in terza elementare lo avevo messo sotto i pini, quindi puoi immaginare: non è cresciuto niente. Un altro tipo di orto l’ho conosciuto in pianura padana, dove ho lavorato per due anni: un orto irriguo, tutto in pianura. Quello che ho adesso è ancora diverso, perché si trova in alta collina, a circa 600 m. Qualsiasi cosa, orto compreso, è in pendenza, ogni cosa non cresce né in quantità né in dimensioni come in un orto normale, però a me interessa che i prodotti siano buoni. Lassù sto benissimo. Non c’è nessuno con me, a parte ogni tanto lupi, cinghiali, selvaggina e il mio cane da tartufo.
Io adesso faccio tutto a mano, non ho niente che funziona a benzina: non ho trattori, non ho motozappe, niente. Eppure faccio fatica a dire che lavoro
Avendo studiato e vissuto fuori, è stato difficile tornare?
No. Nel senso che è stata una scelta coerente con il mio percorso. Volendo aprire un’azienda agricola volta ad una produzione biologica e biodinamica, avrei dovuto cercare e trovare altri posti in Italia molto simili a quello che è l’Abruzzo e quello che avevo già. Poi è venuta fuori anche la storia della terra di famiglia, alla quale mio nonno aveva sempre tenuto molto. Lui è stato costretto ad abbandonarla quando la sua famiglia è cresciuta si è reso conto che economicamente non ci stava più dentro in nessun modo. Quindi è venuto a Lanciano e ha aperto un’altra attività.
Se dovessi dare un consiglio a qualcuno che ha intenzione di fare una scelta simile?
Ci deve credere veramente. La burocrazia e altri problemi ci provano in tutti i modi a farti cambiare idea. Come in qualsiasi cosa, non solo nell’agricoltura, se non si ha davvero voglia e passione non si va avanti.
Io adesso faccio tutto a mano, non ho niente che funziona a benzina: non ho trattori, non ho motozappe, niente. Eppure faccio fatica a dire che lavoro. Dico che vado in azienda, vado nell’orto, vado a tartufi, ma “vado a lavorare” mi capita di dirlo solo in quei sette o otto giorni all’anno in cui vado a fare il catering o il cameriere la sera.
Perché Don Carlo?
Carlo è il nome di nonno, ma a Montazzoli lo conoscevano tutti come Don Carlo.
Nelle comunità montane funziona ancora molto il sistema dello scambio e lui spesso, avendo il trattore, andava a lavorare la terra del tipo che invece non ce l’aveva, tornava sempre su quando c’era la trebbia per dare una mano, faceva scambi di manodopera di ogni tipo.
Possiamo dire che io lassù vivo del suo buon nome, ci sono ancora persone che arrivano con il trattore per regalarmi balle di paglia. Ecco, dovendo trovare un nome all’azienda, con tutto il mio percorso e la sua storia, non avrei potuto chiamarla diversamente.
Francesca
Tolosa, Marzo 2019
Foto ©Lorenzo Genovesi
(Tranne quella in cui si vede lui al banco di Don Carlo, ©Abruzzo.no)
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